Ho conosciuto il Maestro Jose Maria Casanova molti anni fa, quando andai in Argentina, invitato dal presidente Victor Serge Groupierre, per un corso di scherma. Insegnava già allora al Jockey Club, che aveva accolto, in passato, anche Eugenio Pini e Nedo Nadi: ma non le donne, che per tradizione non potevano accedere ai locali interni. Era ancora così quando ci andai in visita, ma oggi le cose sono cambiate.
Nella copertina di questo articolo lo vedete con una sua allieva, Valentina Zurraco.
Jose, malgrado la distanza, ha mantenuto saltuari contatti con me, mi ha donato un libro di Aurelio Greco, e ha tradotto qualche mio articolo in spagnolo, cosa di cui gli sono grato.
Qualche giorno fa ho ricevuto una sua poesia, dedicata ai suoi Maestri Edward Gardère e Juan Naòn, ed ho pensato di ricambiargli il favore. Nel tradurla, qualche licenza me la sono presa, per motivi di metrica e di rima: spero, però, di essere rimasto abbastanza fedele al senso della poesia, e alle intenzioni dell’autore. Giudicate voi, ma non siate troppo severi, mi raccomando…
Il Maestro Jose Maria Casanova ha difeso i colori dell’Argentina alle Olimpiadi di Montreal nel 1976, e in quelle di Los Angeles, nel 1984. Ha vinto medaglie nei Giochi panamericani e sudamericani, ed è stato campione nazionale di sciabola.
Dirige attualmente la Sala d’Armi del Jockey Club di Buenos Aires e quella del Club Francés.
A UN ESGRIMISTA
di Jose Maria Casanova
Olvidada, desnuda, enmohecida
yace su espada en un antiguo armario
su puño ajado, cruel, innecesario
cronista de sus golpes y sus días.
Según se cuenta fue su extraña historia
el batirse mil veces con su espejo
sin saberlo quizás fuera un reflejo
de un guerreo, un rey, una victoria.
En el raudo transcurso de la vida
transpirados los sueños, esa espada
por su mano segura fué empuñada
no para herir, para curar su herida.
Y ese largo camino, la pedana
poblada de combates y utopías
que lo llevó a lo largo de los días
hasta enfrentar la muerte, una mañana.
A UNO SCHERMIDORE
di Jose Maria Casanova, tradotta da Giancarlo Toràn
Dimenticata, nuda e arrugginita
giace in un vecchio armadio la sua spada,
fiera e logora l’elsa, seppur cruda
testimone dei colpi e di sua vita.
Dicono che fu strana la sua storia,
battersi mille volte con se stesso:
forse, senza saperlo, era un riflesso
d’un guerriero, d’un re, d’una vittoria.
E nel corso veloce della vita
evaporati i sogni, quella spada
con sicurezza fu da lui impugnata
più per guarir, che procurar ferita.
Fu per lui la pedana disciplina
ove il ferro incrociò, giorno per giorno
finché il sogno svanì. Venne il suo turno
ed affrontò la morte, una mattina.